In molti mi hanno chiesto cosa pensassi della Deliberazione del 23 gennaio 2024 7/2024/R/rif, con la quale ARERA ha dato ottemperanza alle sentenze del Consiglio di Stato nn. 10548, 10550, 10734, 10775 del 2023.
Ho impiegato del tempo nello scrivere questa riflessione, vista la necessità di leggere questa nuova Deliberazione anche in chiave cronologica.
Si ricorderà infatti che, con Deliberazione 363/2021/R/Rif, ARERA ha indicato, per i flussi relativi al RUR (Rifiuto Urbano Residuo) e alla FORSU (Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani), i corrispettivi del trattamento precisando che gli stessi dovranno basarsi sulle condizioni di contesto nel quale gli impianti stessi sono inseriti. Nel dettaglio, ARERA, al fine di pervenire al riconoscimento dei costi alla base delle tariffe di accesso a taluni impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti, ha distinto tra impianti: “integrati, minimi e aggiuntivi”.
Gli impianti “minimi” sono impianti non integrati nel gestore della raccolta e, tuttavia, individuati come indispensabili per la chiusura del ciclo dei rifiuti in ambito regionale, soggetti a regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe. Tali tipologie di impianto, al pari di quelli integrati, sono sottratte al libero gioco della concorrenza nei mercati del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti, in quanto soggetti ad una pianificazione regionale dei flussi di rifiuti conferiti e a una fissazione delle tariffe di accesso.
Per rientrare nella categoria degli impianti “minimi” indispensabili per la chiusura dei rifiuti a livello regionale, gli stessi devono rispondere a specifici e stringenti requisiti, che sono puntualmente individuati da ARERA nella medesima delibera, ovvero:
1. la presenza nelle filiere del trattamento e dello smaltimento di particolari categorie di rifiuti;
2. la presenza di un forte e stabile eccesso di domanda a fronte di limitato numero di operatori;
3. il fatto che tali impianti, presenti sul territorio regionale, abbiano già una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi, ovvero che siano già stati individuati per la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti in sede di programmazione da parte dei soggetti competenti.
In un primo momento ARERA, come emerge dal documento per la Consultazione 196/2021/R/Rif, “Primi orientamenti per la definizione del metodo tariffario rifiuti per il secondo periodo regolatorio (MTR-2)” del maggio 2021, aveva auspicato un intervento governativo orientato a chiarire la strategia di infrastrutturazione e, soprattutto il disegno di mercato. Si legge infatti nel documento per la consultazione che “Considerando anche che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha evidenziato, tra l’altro, la necessità di introdurre “norme finalizzate a rafforzare l’efficienza e il dinamismo concorrenziale nel settore della gestione dei rifiuti, nella prospettiva di colmare le attuali lacune impiantistiche”, l’Autorità ritiene che tra le attività volte a perseguire gli obiettivi di sostenibilità ambientale potrebbe essere annoverato anche un intervento governativo – da valutare anche in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28/1997 – con il quale individuare (e aggiornare con frequenza periodica, ad esempio biennale) gli impianti di chiusura del ciclo “minimi” (da assoggettare a regolazione, nei termini generali sopra rappresentati, al fine di promuoverne l’efficienza in un quadro di progressivo dinamismo concorrenziale)”. In pratica, la stessa ARERA, già nel 2021, consapevole dell’importanza del tema, aveva auspicato un vero e proprio intervento normativo. Tuttavia, a causa del ritardo nell’adozione del PNGR che avrebbe dovuto quantificare proprio i fabbisogni impiantistici e fornire indicazioni ad ARERA sugli sviluppi del mercato del trattamento, l’Autorità ha dovuto cambiare strada demandando alle Regioni l’individuazione degli impianti “minimi”, impianti la cui capacità di trattamento è “asservita” ai fabbisogni del territorio.
Così ARERA ha chiesto alle Regioni di:
4. identificare gli impianti di chiusura del ciclo “minimi” (in tutto o in parte), anche alla luce delle caratteristiche dell’operatore che li gestisce, con quelli presenti sul territorio di pertinenza che soddisfino una o più delle seguenti condizioni:
5. avere una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi;
6. offrire capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori;
7. essere individuati in sede di programmazione, sulla base di decisioni di soggetti competenti alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti;
8. trasmettere all’Autorità l’elenco degli impianti di chiusura del ciclo “minimi” entro il 30 novembre 2021 (prevedendo la possibilità di aggiornamento del medesimo elenco nel 2023 per il successivo biennio 2024-2025), con contestuale esplicitazione dei flussi che si prevede vengano trattati per impianto (anche ove ancora non risultino negli strumenti di programmazione vigenti), nonché la distinzione dei medesimi secondo il criterio di prossimità che si ritiene utile specificare, e l’elenco dei soggetti che si prevede conferiscano ai medesimi.
Per una questione puramente temporale, atteso che la delibera ARERA è stata adottata prima del DM ministeriale che ha approvato il PNGR, nel Programma Nazionale è comunque richiamata la “tassonomia” ARERA.
Infatti il PNGR ricorda che, con l’approvazione del Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR-2) (di cui alla deliberazione del 3 agosto 2021, 363/2021/R/rif), ARERA si è dotata di una propria distintiva tassonomia degli impianti di trattamento dei rifiuti urbani, assoggettabili alla regolazione dei costi riconosciuti e alla determinazione delle tariffe di conferimento secondo i criteri stabiliti dal MTR-2.
Insomma il PNGR ha semplicemente riportato quanto deliberato da ARERA ( si veda in tal senso il par. 5.2. del PNGR).
Quel che è successo in seguito è storia conosciuta ( si rinvia alla lettura di ARERA, il sistema impianti “minimi” e le competenze programmatorie sui rifiuti – Operate Impianti minimi: la decisione del Consiglio di Stato – Operate).
Si ricorda qui che il Consiglio di Stato, Sezione Seconda, sentenze nn. 10548, 10550, 10734, 10775 del 2023, ha ritenuto che ARERA nel fornire i criteri per individuare i “minimi” “… ha indirizzato il potere programmatorio delle Regioni, avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato, che il legislatore non ha inteso delegarle”.
In sostanza, ARERA non aveva il potere di indicare i criteri per l’individuazione degli impianti minimi.
Orbene nella deliberazione del 23 gennaio 2024 ARERA, anche al fine di trovare una soluzione volta a colmare il vuoto derivante dalle sentenze citate, richiama le predette decisioni (par. 53.1) dove si afferma che “in sintesi, vuoi che la delibera n. 363 del 2021 sia un mero “fatto storico” di cui il Programma nazionale [per la gestione dei rifiuti] dà atto, vuoi che, viceversa, nel farlo ridetto Programma ne abbia recepito i contenuti, operando la novazione della fonte ipotizzata da ARERA, ciò non può che valere pro futuro”, non mancando di evidenziare come “egualmente vero è che il Ministero mostra in verità di condividere le opzioni dell’Autorità, evidentemente non ravvisando nella relativa estrinsecazione alcuna invasione delle proprie competenze”.
Ed è proprio qui che ARERA afferma come sia necessario e opportuno, nella riedizione del potere regolatorio tariffario di competenza, tenere conto dell’intervenuta adozione, con il decreto ministeriale 24 giugno 2022, n. 257, del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti recante, tra l’altro, l’indicazione dei criteri per la qualificazione degli impianti come “minimi”. Secondo ARERA, dunque, le sentenze del Consiglio di Stato avrebbero lasciato impregiudicata la possibilità di recuperare, “… seppure pro futuro, la disciplina degli impianti “minimi” in ragione dell’avvenuta riproposizione nel PNGR dei criteri per l’individuazione dei medesimi”.
In conclusione, ARERA non aveva il potere, il PNGR avrebbe comunque fatto propri i criteri di ARERA, per cui lo Stato ha individuato i criteri di individuazione degli impianti minimi e tutti contenti (!!).
Sennonché la soluzione adottata da ARERA fa sorgere qualche domande se solo di consideri che il richiamo fatto al PNGR (par 9.6 pag. 87) sembra lasciare intendere che la qualificazione degli impianti di chiusura del ciclo come “minimi” “..devono trovare adeguata giustificazione e sviluppo nei pertinenti atti di programmazione regionale.”
La domanda è dunque se tale qualificazione debba essere fatta solo all’interno dei PRGR, atteso che all’interno di tali atti viene effettuata tra l’altro l’analisi dei flussi (art. 199, comma 3, lett. a) del D.lgs 152/2006), la ricognizione degli impianti esistenti (art. 199, comma 3, lett. b) del D.lgs. 152/2006) ed è previsto il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari (art. 199, comma 3, lett. g) del D.lgs. 152/2006). La domanda non sembra essere banale se solo si pensi alle procedure necessarie per l’aggiornamento/adeguamento dei PRGR le cui tempistiche, di fatto, potrebbero non essere coerenti con la qualifica biennale impianto minimo.
Peraltro chi scrive ha qualche dubbio che l’individuazione di un impianto minimo possa essere fatta con un provvedimento diverso dal Piano regionale stante l’evidente rilevanza di tale qualifica anche ai fini ambientali (basti pensare alla fase di VAS), soprattutto laddove tale valutazione non sia già ricompresa nel PRGR.
Ed allora sembra ragionevole pensare che la qualificazione degli impianti come minimi possa essere effettuata ad esempio anche con Deliberazione Regionale, solo nel caso in cui nel Piano regionale emerga una “rigidità di mercato”.
Insomma, buona la prima per ARERA, ma andrebbe attentamente valutato come soddisfare le esigenze di flessibilità che la qualifica biennale di impianto minimo richiede con lo scenario temporale considerato nel Piano regionale.
Un altro quesito che molti si stanno ponendo è il seguente: che fine fanno le delibere regionali adottate in attuazione della Deliberazione 363/2021/R/Rif? Come già evidenziato, (Impianti minimi: la decisione del Consiglio di Stato – Operate), l’illegittimità della Deliberazione ARERA nella parte, si ribadisce, in cui dettava i criteri per l’individuazione degli impianti “minimi” si è inevitabilmente riverberata sulle deliberazioni regionali adottate in attuazione di tale Deliberazione.
Pertanto le Regioni sono chiamate nuovamente a deliberare facendo riferimento, sul punto, non alla Deliberazione 363/2021/R/Rif ma ai criteri indicati nel PNGR (al capitolo 9, recante “Criteri e linee strategiche per l’elaborazione dei Piani regionali”) e, si aggiunge, in coerenza con quanto previsto e “fotografato” nei rispettivi Piani regionali.