Una sentenza del tribunale amministrativo della Lombardia, pubblicata il 24 febbraio scorso, ha accolto la domanda di annullamento della deliberazione n. 363/2021 con la quale ARERA ha definito il sistema degli impianti “minimi” nell’ambito del secondo periodo regolatorio MTR 2.
Il TAR Lombardia, dopo aver ribadito che il fine dell’istituto degli impianti “minimi” è quello di cercare di colmare una situazione di deficit impiantistico attraverso il temporaneo utilizzo di impianti già esistenti sul territorio, evidenza come il profilo tariffario è mera conseguenza della scelta di sottoporre determinati impianti non integrati alla disciplina pubblica di pianificazione.
In altri termini, il profilo tariffario non è la causa, civilisticamente intesa, dell’intervento di ARERA. Quindi, la disciplina dettata dall’Autorità in materia di individuazione di impianti “minimi” fuoriesce dall’ambito delle funzioni attribuite dalla norma ad ARERA.
La delibera MTR 2 e l’ambito di competenza nella programmazione sui rifiuti
La delibera ARERA 363/2021 ha invaso l’ambito di competenza che il legislatore statale ha assegnato allo Stato, e in particolare al Ministero individuato dall’art. 198 bis del D.lgs. 152/2006 in relazione ai contenuti di cui al Programma nazionale per la gestione dei rifiuti PNGR.
Inoltre, ha attribuito di fatto alle Regioni poteri che il legislatore statale non ha, recta via, assegnato agli enti regionali (cfr. art. 196 del D.lgs. 152/2006), traslando quanto dovrebbe essere definito in sede nazionale in un ambito locale, in piena violazione delle competenze dello Stato (cfr. art. 195 del Codice dell’Ambiente), e allontanandosi dall’obiettivo del riequilibrio socioeconomico fra le aree del territorio nazionale.
La delibera MTR 2 ha quindi sovvertito la logica tipica degli atti programmatori in materia ambientale, e, in generale, nei contesti in cui concorrono competenze “multilivello”. Ai sensi dell’art. 198 bis comma 2 del Codice dell’ambiente il Programma nazionale fissa i macro-obiettivi, definisce i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si attengono nell’elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199 del decreto. Di contro, con la deliberazione ARERA impugnata, il piano programmatorio di prima istanza è divenuto quello regionale.
Attraverso l’esercizio di un potere non attribuitole dalla legge, l’Autorità ha determinato un’inversione procedimentale dell’iter di programmazione. Solo dopo l’adozione del Programma nazionale, con l’individuazione in quella sede dei criteri per la qualificazione degli impianti come “minimi”, ARERA avrebbe potuto (e dovuto) disciplinare l’ambito tariffario, secondo la competenza che le è attribuita dall’ordinamento.
Si evidenza inoltre che la sentenza non ha annullato interamente la deliberazione n. 363/2021 atteso che l’annullamento concerne esclusivamente la parte della medesima deliberazione in cui ARERA disciplina in materia di individuazione di impianti minimi.
Restano pertanto salvi i cd. “profili tariffari” della deliberazione.
La riflessione da fare è sicuramente questa: è facile immaginare quali siano gli effetti di questa sentenza rispetto alle delibere regionali in materia di individuazione degli impianti minimi, tenuto conto anche della recente sentenza del TAR Emilia Romagna del 16 gennaio 2023, n. 638 e delle osservazioni sollevate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Segnalazione n. AS1875 del 23 dicembre 2022).
Ma la vera domanda cui forse tutti stiamo pensando è forse questa: il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR), le misure messe in atto dal PNRR, le azioni messe in atto dalle Regioni consentiranno di superare il gap impiantistico in materia di trattamento dei rifiuti organici e “limitare” l’avvio di tali rifiuti dal Centro -Sud presso impianti ubicati prevalentemente nel Nord?